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“Conclusa la Stagione della Strumentale città di Prato con Rimsky Korsakov” di Enrico Martelloni

Maggio, la Camerata Strumentale città di Prato, chiude la sua stagione musicale con un Capriccio; quello Spagnolo di Rimskij Korsakov. Giovedì 8 sera, alla medesima ora delle 21, il tributo del pubblico salottiero, ha reso l’applauso all’orchestra, al suo maestro Pinzauti e a Batisti, direttore artistico della Camerata, voce narrante del primo brano in programma di Britten. L’orchestra era al suo massimo, con tutti gli elementi possibili sul proscenio. Ogni strumento, dall’ottavino, all’arpa, dai fiati agli archi, tutti hanno avuto il suo momento nella Guida del giovane all’orchestra di Britten; una variazione e fuga su un tema di Purcell, genio della musica barocca nato anch’egli in Inghilterra. La lezione didattica, è stato un modo per conoscere meglio potenza e forza espressiva di ciascuna categoria di strumenti, tal volta delicatezza ed eloquenza musicale. Ogni gruppo si è presentato ripetendo le variazioni ricercate da Britten, del maestoso e luminoso brano, esposto dall’orchestra al completo, nella sua piacevole lezione di musica, oggi narrata da Batisti. Le Variazioni colte dal tema melodico d’Abdelazar di Henry Purcell, era nato come film educativo, poco dopo la seconda guerra mondiale, con l’intento di riparare una cicatrice morale e di cultura, che avevano visto brutalmente interrotte le fonti formative e creative delle giovani generazioni, che fanno dell’uomo, quando vuol esserlo, un capolavoro vivente. La seconda parte del concerto, ha proposto l’ouverture fantasia Romeo e Giulietta di Cajkovskij. Il poema sinfonico esprime, come per Francesca da Rimini, il tema della passione infelice, del fato come ineluttabile realtà cui il maestro russo sentiva di appartenere descrivendolo in musica anche con un certo turgore nella rappresentazione della rivalità tra le due famiglie veronesi. Qui, l’elaborazione musicale del dramma di Shakespeare è fonte ispiratrice, coinvolgente un’ampia strumentazione orchestrale. I temi musicali nella volontà lirica, si sovrappongono in toni concitati e melodici tra pathos struggente e le cupe tonalità tragiche del finale. L’orchestra, però, non poteva lasciarci così. Per il commiato della stagione, ha scelto il brillante Capriccio Spagnolo di Korsakov. Pieno di folclore, ricco di virtuosismi esposti al dialogo musicale rimandanti al mondo lusitano, che già altri musicisti francesi e russi avevano colto come fascinosa fonte d’ispirazione. Il Capriccio, ci ha dato attimi di felice emozione, con il clarinetto e il violino, le variazioni d’orchestra, riportando il tema iniziale dell’Alborada nel fandango Austurino, energico e vibrante.  E dunque come tutte le cose, quelle belle per prime, terminano. Da uso italico, però, magnanimo, Pinzauti ha concesso un bis. Quale? Non è stato dato sapere. Al momento opportuno Pinzauti già sul podio pronto a scoccare il tocco di bacchetta, s’è girato sorridendo come fosse Petrolini, esclamando “Non ve lo dico”. Poteva essere, di nuovo Cajkovskij, ma non ve lo do per certo. Qui riporto anche il mio saluto di scriba. Ad una nuova stagione, speriamo, e per una buona primavera ispiratrice.

In anteprima le prime pagine del fumetto LGBT “Io non amo Andrea”!

Certamente vi ricorderete del nostro fumetto a tematica LGBT di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa vero? Ebbene oggi vi facciamo dare una sbirciata alle primissime tavole dell’opera, che ritroverete presto insieme al prosieguo della storia sul blog dedicato www.iononamoandrea.wordpress.com insieme ad articoli e tanto altro che potrete scoprire nelle prossime settimane.

Buona lettura! 😉

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“Successo per Haydn e la Camerata Strumentale città di Prato” di Enrico Martelloni

Accade di rado che nella medesima sera, a pochi passi di distanza l’uno dall’altro, si eseguono due concerti di musica sacra. Ciò, è avvenuto giovedì a Prato, contemporaneamente alle ore 21. Quello della Camerata Strumentale città di Prato, era già fissato nel programma dei concerti fin da ottobre, con l’anticipazione, il giorno 9 aprile, dell’esecuzione fiorentina in Santa Maria del Fiore. Quello nella cattedrale di Prato, gratuito, organizzato senza valutare la contemporaneità dell’altro.  Tralasciando ai posteri aride cronache di probabili equivoci temporali e d’umori, assolviamo, lieti, al penultimo dei concerti dedicato alla musica di Haydn e all’imminente pasqua cristiana. Tra i due grandi oratori de “La Creazione” e “Le Stagioni” scritti tra il 1796 e il 1801, Haydn pose mano a “Le sette ultime parole del nostro redentore sulla croce”. L’evoluzione dell’opera fu compiuta nel medesimo anno delle “Stagioni”, ma sul testo di Van Switen, adattate dal maestro alla sua musica. Per la circostanza della serata in programma, l’oratorio ha incontrato altri testi senza che ne sia venuta meno la forza evocativa. Il pubblico delle grandi occasioni lo ha percepito attraverso le parole di Fabrizio Gifuni. La voce recitante ha ridestato nelle quartine di settenari di Jacopone da Todi, il calvario del Cristo “Crucifisso” delle Laudi medioevali. “O figlio, figlio, figlio, figlio amoroso giglio! Figlio, chi da consiglio al cor mio angustiato?”.   Poi come dal pulpito, Gifuni, ha anticipato un commento poetico ad ognuna per le sette Sonate di Haydn della Camerata, con le parole di Luzi, Juan de la Cruz, Papini, John Donne.

Deposizione

Un successo lungamente segnato dal pubblico in sala, diviso equanime, tra l’orchestra, il direttore Pinzauti, e Gifuni. Haydn alla summa della sua maturità d’artista, ha il merito di rendere la musica lieve anche negli Adagi, specie nella tonalità del do minore. In tutte le sonate, potremo identificare l’Adagio di un’ideale sinfonia cui il maestro fu campione. Il momento della crocifissione, l’umanità dell’attimo evocato dalla musica, contiene tratti descrittivi, di luminosa e divina accettazione, nel contrasto agli attimi drammatici dell’Uomo sulla croce. In origine, l’oratorio ripreso in mano più volte aveva nell’impianto orchestrale due flauti, due oboi, addirittura quattro corni e due trombe con timpani violini, viole, violoncelli e contrabbasso. Ovvero un impianto sinfonico, senza il coro che fu in seguito aggiunto almeno nell’ultima stesura del 1796. Di queste pagine di musica nel 1787, Haydn trasse un quartetto per archi. Il brillante intuito di Joseph, nato a Rohrau nella Bassa Austria, aveva trovato nella musica sacra un’indubbia valenza creativa, senza mai trascendere dalla musica, lo stile suo proprio che tende all’ottimo, al positivo: dal sinfonico al quartetto. Nella delicata rarefatta aria di ciascuna delle sette sonate, non troverete la morte dell’Uomo, già non c’è al suo cospetto, vinta dall’abbraccio col Padre. Troverete, per sua filosofia, solo serena affiliazione, sottolineata dal flauto, o dall’oboe, o dai corni, il significato della vittoria: quello dell’afflato necessario, imposto dal grave contrabbasso verso ciò che è universo. E’ nell’identità massonica di un credente che, Haydn riconosce l’aspetto di Dio, e lo riconosce positivo, senza darne una certezza della sua volontà, della sua entità: Elì, Elì, lemà sabactani?. Haydn, uomo dei suoi tempi, trova attenzione verso il sacro. Il “Terremoto” conclude l’oratorio, che richiama le tenebre, ma mai, anche nel do minore, cade nella disperazione. Il saluto del pubblico anche per questo è stato un tripudio di gioia.

“Io non amo Andrea”: il fumetto LGBT made in Italy per dire no ai pregiudizi

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Siamo tutti uguali perché siamo tutti diversi. Questo il messaggio del nostro fumetto, ispirato in parte alla serie tv cult “Will & Grace” e in parte a situazioni di reale vita vissuta. E’ un motto che fa da leitmotiv all’intero progetto, a partire dalle autrici: l’ideatrice e sceneggiatrice Katya Parente (io) e la disegnatrice Diana Laudando, la prima (sempre io) dichiaratamente lesbica e l’altra etero, a rappresentarlo alla perfezione. Di riflesso, le storie che vi racconteremo non saranno ad esclusivo consumo di una determinata categoria, ma ci auguriamo nel nostro piccolo di far sentire ogni lettore parte integrante della grande famiglia umana, in cui siamo tutti tasselli fondamentali l’uno per l’altro nella nostra specificità.

La brava seppur giovanissima Diana ha commentato così la scelta del condividere la creazione di un’opera un po’ fuori dagli schemi: “E’ vero, l’argomento mi è forse un pò distante, ma non così tanto: credo da sempre che le qualità di una persona non si misurino in base ai gusti sessuali e che i sentimenti, soprattutto l’amore, non può mai essere sbagliato. Quindi il progetto mi è subito piaciuto, e l’ho affrontato con entusiasmo e allegria perchè è quello che merita un’idea così divertente, originale ma fondamentalmente semplice e spontanea. Forse è troppo ambizioso pensare che cancellerà i tabù ancora forti in Italia, ma se nessuno inizia a parlarne la situazione non migliorerà quindi speriamo che porti bei risultati…ah ovvio, mi aspetto di diventare miliardaria come minimo, ma mi sa che questo obiettivo me lo tengo per la prossima vita” aggiunge scherzando l’ottima fumettista.

Da creatrice del fumetto, io sento poi di dover aggiungere le mie personali motivazioni all’opera: siamo tutti uguali perché diversi, questa è una sacrosanta verità. Ma perché tutti lo capiscano è necessario che non ci nascondiamo, vivendo in mezzo al mondo con la dignità di essere ciò che siamo e condividendo con altri le nostre emozioni e pensieri; questo è ciò che cercheremo di fare con questa storia, sperando di farvi sorridere, riflettere e palpitare insieme ai nostri protagonisti. Che sono io, sei tu, siamo noi.

Trovate alcune strisce e la prima tavola nell’omonimo sito (iononamoandrea.wordpress.com) che stiamo costruendo man mano e a cui potete partecipare attivamente contattandoci, o cercando “Io non amo Andrea” su Facebook  🙂

Katya Parente

“Mozart e Pergolesi in coro Per la Camerata Strumentale città di Prato” di Enrico Martelloni

Musica sacra? E sia. D’altronde ci si avvicina a Pasqua. Il programma per giovedì sera 13 marzo nel cartellone della Camerata Strumentale città di Prato, prevede musiche di Mozart e Pergolesi. Due piccoli grandi gioielli che come un amico mi ha confidato, tolto il testo sacro, non resta che la musica, che non ha genere: è sacra per se stessa. Tolto ogni testo la musica non è più protestante, cattolica, massonica, od altro, ma è solo musica. Il testo letterale lo specifica per genere, ma la musica oltrepassa i confini e si estende nel tempo per la sua sensibilità espressiva colta da chiunque porga orecchio. Ne sono esempio, appunto, le Litanie de venerabili altaris Sacramento k 243 in mi bemolle maggiore di Mozart e lo Stabat Mater di Pergolesi. Due capolavori sacri per precoci compositori. L’occasione, ha unito all’orchestra, il notevole coro del Maggio musicale fiorentino, diretto da Lorenzo Fratini, pratese, ormai nell’alveo dei più apprezzati, grazie ad esperienze con l’Orchestra Regionale della Toscana e a quelle extramoenia, come ad esempio, l’orchestra della Radio di Bucarest, quella del teatro Cluj-Napoca. Le voci soliste sono state Valentina Coladonato, soprano, Silvia Regazzo, mezzo soprano e Mark Milhofer, tenore, Luca Tittotto voce di basso, tutte molto apprezzate. Le due opere sacre presentate dalla Camerata Strumentale, sono lontane come origine di quaranta anni. L’opera di Mozart potrebbe essere considerata prodromo del Requiem e una straordinaria quanto incredibile familiarità con l’opera di Pergolesi solo per causa dell’epilogo delle due illustri vite, e perché vi mise mano l’allievo ed amico di Mozart, Eylber su entrambe. La composizione dello Stabat fu prevista per archi e basso continuo, soprano e contralto.

Cristo velato

Esigui mezzi di strumenti, che schiusero un capolavoro tanto celebrato, Pergolesi lo terminò poco prima del 17 marzo 1736, quando morì all’età di 26 anni, nel convento di Pozzuoli a Napoli dove era ricoverato per tisi. Certi capolavori, paiono il commiato, la celebrazione di ciò che più di profondo, sensibile ed immenso, alcuni uomini riescono a donare. Così come l’opera incompiuta del Requiem fu affidata in parte ad Eylber dopo la morte di Mozart, pochi anni dopo allo stesso Stabat Mater furono aggiunte da Eyber le voci maschili e i fiati. Le coincidenze, finiscono qui. Solo con l’intervento d’Otto Nicolai, nel 1834, che ritoccò il lavoro già fatto, si completò quest’opera sacra. Per quello che riguarda l’interpretazione del concerto, di suggestiva morbidezza, è parsa la voce soprano nell’“Agnus Dei” del componimento mozartiano, parimenti in altri momenti, la voce tenorile, intensa e capace d’attrarre attimi profondi. Ammirevole ed esemplare il coro, come l’orchestra guidata dal maestro Fratini. Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, scriveva Iacopo da Todi, il pazzo d’amore mistico. La musica di Giovanni Battista Pergolesi fu Francesco Andrea, come oggi la conosciamo, non ha tradito le attese e colto anche nelle voci del mezzo Soprano e del Basso qualità ed interpretazione.  Intensa l’elevazione musicale, sia quando è stato il tenore e poi di nuovo il coro ad innalzare la preghiera: O quam tristi set afflicta…La perfetta bellezza di questo lascito in musica sacra, in fine, ha trovato più attimi d’accorato sentire, accostando colori tristi a brillanti più vicini ad una deposizione del Signorelli, sì teatrale. Eppure bella, la voce profonda del Basso “Fac me palgis vulnerari. Mai tetra, semmai delicata ed intensa espressione del dolore, lo Stabt Mater ha ricordato “Quando corpus morietur”, il capolavoro del “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino nella cappella di San Severo a Napoli.

“Un contrabbasso per amico, protagonista Alla Camerata Strumentale Città di Prato” di Enrico Martelloni

Raramente, per non dire un “Mai”, il contrabbasso è stato protagonista in un concerto sinfonico. E’ accaduto a Prato, con la Camerata Strumentale: Programma che data 27 febbraio, ore 21, appena scorso. E’ stato così il momento, di uno strumento appartato, all’apparenza goffo, vitalizzato nel genere Jazz del secolo scorso, rendendone agile la sua abbondante silhouette. Protagonista assieme alla Premiere dame, il virtuoso Alberto Bocini da Prato. Solista e primo contrabbasso di numerose orchestre internazionali, Bocini è stato applaudito quasi fin all’ovazione nel teatro amico, alla conclusione della parte centrale della serata che, com’è consuetudine in appendice, apre ai bis da regalare al pubblico. Il Divertimento concertante per contrabbasso e orchestra, ha permesso di apprezzare la musica di Rota, eclettico protagonista del novecento, per le colonne sonore di parecchi films che hanno reso celebri le opere di Fellini, Visconti, Monicelli e tanti altri. Qui, lo strumento, ha trovato il proscenio e l’attenzione della sala, dove il carattere brillante alternato ad arie melodiche dei tempi indicati, ha posto fine all’ingiusto. L’orchestra sospinta dalla bacchetta di Jonathan Webb ha sostenuto l’opera di Rota, complessa e poetica, là dove il maestro tributava a Prokof’ev ricordi che rimandavano a “Pierino e il lupo”.  E’ dunque l’espressione ironica e virtuosa per mano di Bocini che fa partecipe il pubblico, ad attrarne l’interesse. Alle novità, in un certo senso, ci si prepara prima. L’inizio della serata è perciò, dedicata al compositore boemo in voga sotto Teresa d’Austria, quando le armate pugnavano contro Napoleone. Jan Vaclav Vorisek, viennese d’adozione amico di Shubert e Beethoven, visse a cavallo dei due secoli, attraversandoli brevemente, lasciando l’opera di musicista acerba e piena di promesse. La sua unica Sinfonia, proposta ed in programma, fu postuma, pubblicata addirittura nel 1957. I modelli di Vorisek non potevano prescindere dai grandi di cui Vienna si fregiava. La Sinfonia in re maggiore lo ha dimostrato nell’interpretazione della Camerata. Vivace, dolente nei violoncelli, trova riferimenti nell’epoca di giganti della musica, ma ancora espressione di un talento prematuro che avrebbe trovato, se il tempo gli fosse stato amico, fecondità espressiva. Sia giusto il tributo quindi, a Hugo Jan Vaclav nato a Vamberk nel 1791, poco prima della morte di Mozart. Si chiude con Beethoven e la Quarta Sinfonia in si bemolle maggiore op. 60 . Per tutta la vita, il compositore ha riposto nella musica l’ideale sacralità come elevazione dell’anima viatico di tutto ciò che è nobile per il bene dell’umanità. E’ il flauto, luminoso del primo movimento accompagnato dall’oboe ed il clarinetto che apre all’orchestra per mano di Webb, il senso sinfonico di questa meravigliosa “Quarta” sostenuta dai timpani. Il clarinetto, delicatissimo, accompagnato dal pizzicato degli archi tratteggia il suo incedere, nel secondo Adagio. E’ l’elevazione che porterà alla “Settima”, composta tra l’autunno del 1811 e il giugno dell’anno successivo.  Segue un efficace Allegro vivace, sottolineato dal corno in chiusura del Tempo. Guizzante disinvolto il finale dell’Allegro non troppo, che è risuonato infinite volte nelle sale di tutto il mondo, ha salutato il pubblico tributante d’applausi, come disinvolta l’uscita dalla sala al commiato della Strumentale.

Bocini e il Contrabbasso

“Nel nome di Abbado apre il concerto della Camerata Strumentale città di Prato” di Enrico Martelloni

Claudio Abbado è stato ricordato dal direttore artistico della Camerata di Prato giovedì sera 23 gennaio, poco prima del concerto in programma.

Senza forzature, quasi ascetico, prossimo alla grandezza dei predicatori di un tempo, Alberto Batisti, ha parlato al pubblico del maestro e dell’uomo che ha lasciato all’umanità un vasto patrimonio di cultura e di musica nell’ideale visione dell’Europa dei popoli. Concetto che Abbado ha trasportato nelle sue orchestre, quando ancora il vecchio continente portava evidenti i segni della sua divisione post bellica.

Batisti ha rammentato la carriera di un uomo eccezionale, riconosciuto in tutto il mondo. Al pubblico in sala ha chiesto di ascoltare in piedi l’ “Aria sulla quarta corda” secondo movimento della Suite per orchestra n. 3 di J.S. Bach divenuto ormai celebre, ed uno dei più suggestivi brani di tutta la musica. Il tributo dell’orchestra diretta dal maestro ungherese Gabor Takacs-Nagy ha salutato così, Abbado, sottolineato dal lungo applauso.

Claudio Abbado

Non meno applaudito è stato il concerto n1 per pianoforte ed orchestra, tonalità in do maggiore op 15, di Ludwig van Beethoven da Bonn. Sul podio, Nagy, che già aveva diretto la Camerata lo scorso anno. Al pianoforte Mariangela Vacatello, interprete dotata d’ottima tecnica e sentimento. L’artista, deve essersi sentita lusingata dai decibel degli applausi provenienti dalla sala per concedere ben due bis come da copione.

Il concerto op 15, fa parte delle opere giovanili di Beethoven. Risente dell’eredità concertistica mozartiana, dotata di un impianto orchestrale classico con corni, trombe, timpani, flauti e clarinetti due, oboi e fagotti idem, archi. Pur sotto l’influenza del genere Militarkonzerte, il concerto trova spunti autonomi del crescente stile di Beethoven. A largo lirico del secondo movimento sottolineato dai clarinetti, Mariangela Vacatello offre una delicata intima interpretazione. Il Rondò chiude con energico e vigoroso ritmo col finale introdotto dal clarinetto.

Applausi a libitum, come sopra detto.

Nella seconda parte del programma era stata annunciata la Sinfonia Scozzese di Mendelssohn, sostituita con la Sinfonia in do maggiore di Georges Bizet, opera giovanile ed eseguita postuma dopo il suo ritrovamento per la prima volta nel 1935. Sia fatto onore al giovane Bizet. Specialmente per il secondo movimento, dal gusto esotico coloniale nel fascino melodico dell’oboe.

Finale brillante, dove tutta l’abile orchestra si cimenta come fosse in un sussulto.

L’appendice è colorata dalle danze di Galanta. Il direttore Nagy ne ha dato una direzione orchestrale ammirevole del suo creatore e connazionale Zoltan Kodaly, coetaneo di Bela Bartok, ma brillante compositore della vera tradizione popolare ungherese. Le danze di Galanta esprimono il ritmo e lo spirito popolare rivisitato dal Kodaly, fresche e felici, dotate di energia sincopata, dove spicca il clarinetto fino alla conclusione del concerto, tra gli applausi tributati dal pubblico all’orchestra e al direttore Nagy evidentemente soddisfatto, per la circostanza, ambasciatore magiaro.

“Come rivoluzione, il nome mio sona: Enrico Bronzi e il suo violoncello a Prato” di Enrico Martelloni

Capita di non voler affrontare il foglio bianco davanti ai nostri occhi per la soverchiante forza che la musica offre all’ascoltatore. Per chi non ha potuto assistere alla serata di giovedì 28 novembre al Politeama, avrà solo un’immagine descrittiva del concerto proposto. In programma erano musiche di Carl Philipp Emanuel Bach, secondogenito di J.S. e Haydn; Franz Joseph, per la precisione. Haydn, come poi Beethoven, ebbe molto in stima il collega prussiano alla corte dell’ambizioso Federico II il Grande. La guerra dei sette anni, prototipo di guerra mondiale, si era posta nel mezzo tra i due. L’arte, sempre riesce, però, a beffare quelle tragedie militari, siano esse per capricci dinastici come in uso era all’epoca, che in quelle successive, per motivi commerciali e di conquiste territoriali, come fu da quella in poi. Doveva essere un’epoca di grandi cambiamenti, non solo per le tipologie dei conflitti. Tirava aria di novità in quel secolo, e la musica non era da meno. Forse, quello fu il secolo dove essa maggiormente mutò stile e sentimento; perciò, l’abbinamento tra i due compositori, distanti nel tempo di nascita di 12 anni esatti, è stata una felice intuizione inserita nel programma della stagione. La serata musicale, dettata dal maestro e virtuoso violoncellista, Enrico Bronzi da Parma, si è aperta con la Sinfonia in tonalità sol maggiore Wq183/4. Il prolifico Emanuel ha trovato nuovo vigore e luce con Bronzi e la Strumentale, di fronte al pubblico amorevole nella sua composita presenza, sicché la Sinfonia s’ascolta attraverso le sequenze dei tre tempi musicali di brillante tonalità, dove spiccano oboe e flauto. Segno manifesto di una “Sensibilità” creativa che daranno modo ai grandissimi di apprezzarlo e trarne spunto. Nell’espressività e nel contrasto tra il violoncello e l’impianto orchestrale del Concerto in la minore Wq 170 sono rintracciabili, come nell’aspetto brillante del successivo in la maggiore, presentato nella seconda parte in programma, aspetti innovativi, per i tempi, rivoluzionari al contrappunto barocco. S’intravede qui il nascente movimento estetico del “Sturm und Drang” letteralmente “tempesta e assalto”, ripreso da Haydn e sviluppato dai suoi successori. Il numero delle sinfonie attribuite ad Haydn sono incerte ma sicuramente oltre le cento, perciò composte ad un ritmo davvero strabiliante, conoscendo l’abbondante repertorio artistico che il compositore austriaco ci ha lasciato. A molte di queste, scritte ad Esteràz, appartiene la sinfonia “Gli addii” in fa diesis minore, numerata come 45, unico esempio in tale tonalità tra l’enorme quantità scritte dai musicisti di quell’epoca. La tonalità romantica si scioglie alla fine nell’incorreggibile ironia di Haydn che riduce l’organico orchestrale al dialogo finale di due violini, mentre l’impianto era ancora impostato in origine da due oboi, due corni, fagotto e archi. Tutti gli altri escono dalla scena materialmente, provocando un buffo effetto scenico. L’idea di questa famosa scelta rimane legata alla leggenda, ma un certo dissenso dal principe magnate per l’eccessiva rigidità e pretese, è probabile che Haydn lo abbia così lasciato manifestare. Di certo il compositore, ebbe buongusto nella protesta; meno l’ebbero i suoi coevi, anni dopo, nel proporre delle sfumature alte alle incipriate parrucche di nobili ed alto clero.

Mutatis mutandis, cioè cambiate le cose che si devono cambiare: quel secolo terribile generò grandi in ogni campo. La musica non fece eccezione. Concerti e sinfonie sono ascoltate ancor oggi nel teatro del Politeama Pratese e non solo.  f.J. Haydn

Apre la sua stagione la Camerata Strumentale Città di Prato: Un nuovo Mondo

scansione0010Vorrei vivere in un nuovo mondo, fatto di musica. Va benissimo anche solo quella, interpretata da Shunch, dalla Camerata e da un eccellente direttore d’orchestra: Alessandro Pinzauti; se volete mi accontento. Uno nuovo, dove ciò che è orrido sia esiliato per sempre, dall’impalpabile tocco sullo Stanway & Sons. Non potrebbe essere differente sperarlo, per la prima della nuova stagione di concerti programmati dalla Camerata Strumentale Città di Prato, inaugurata proprio giovedì 14 novembre al Politeama Pratese. La serata ha richiamato un gran numero di pubblico. La sala al completo, rendeva un bel colpo d’occhio fin sopra in galleria. Mozart e Dvoràk sono un richiamo irresistibile e un segno della determinata volontà di offrire alla città, l’occasione di unirsi davanti a tanta arte. Halbert Schunch è stato il primo ospite, nell’esecuzione del Concerto per pianoforte ed orchestra k 467 in do maggiore. Talento e poesia esigono eleganza che già, in lui, abbiamo ammirato negli anni precedenti. Il maestro, riguardando le scartoffie passate, è un assiduo frequentatore del proscenio cittadino. Lo ricordo in una delle sue lontane apparizioni nel gennaio 2009, quando il pubblico gli tributò un lungo applauso al termine del Concerto nr 4 op. 58 per pianoforte ed orchestra di Beethoven. Con Mozart, nulla è cambiato. Di questa partitura ultra nota, fanno parte i grandi Concerti viennesi che Mozart scrisse tra il 1782 e il 1786, dove pianista ed orchestra svolgono ruoli d’equilibrio e dialogo con proporzioni d’equità espressiva. Vuoi il flauto che i legni, rispondono al pianoforte protagonista, partecipando all’ensamble dell’orchestra con ammirevole unione. Ecco, quello che è parso, è questo: nell’adagio ovattato e sublime, d’estetica sognante bellezza, scritta da un ragazzo di 26 anni. Poniamo sereni i nostri animi inquieti, dopo tale prestazione d’esecuzione.

DvorakCitando al volgo il nome di Dvoràk, dobbiamo prima ricordare, due piccole perle donate da Schunch. In Italia è costume, il fuori programma è un programma: due momenti musicali di Schubert, tratti dall’opera 94 in Si bemole maggiore e quello in fa minore, naturalmente applauditissimi dal pubblico. Ed ora a noi! Grande Dvoràk. Ho potuto vedere, da privilegiato, molti sguardi ed espressione degli orchestrali. Sì, loro che hanno eseguito un’impeccabile sinfonia, di una delle più grandi mai scritte, senza nulla togliere ad alcune delle altre di Dvoràk, come la sinfonia nr, 7 in re minore. Meritano un abbraccio. Giusto ed onesto è, il gesto del maestro Pinzauti nel richiederlo dal pubblico, sotto forma d’applauso. E’ difficile, seppur nelle evidenti individualità chiamate in causa, voler scegliere cosa e quale parte esaltare. La mia ammirazione è per la capacità dell’orchestra, che io proporrei come esempio. Un esempio per Prato di sinergia ed unione; se il pittore è da solo davanti alla sua opera ed adopra i colori come suoi orchestrali, il direttore d’orchestra non è solo, e lavora con i suoi musicisti come i colori di un’opera che si dilata nel tempo ed appare unita dalle sinergie degli strumenti. Non vorrei andare oltre, ma se la musica parla, lo fa a tutto tondo. Per ciò, lode al re bemolle maggiore del secondo movimento, al suo nobile corno inglese, a questo nuovo mondo, op.95, per la prima volta presentata da Anton Seidl alla Carnegie Hall di New York il 16 dicembre 1893. Antonin Dvoràk aveva già scritto, nel suo primo viaggio in America, un “Te Deum” per il quarto centenario dell’approdo di Colombo ed una cantata, The American flag. Dovrà però, essere l’Allegro con fuoco del quarto movimento ad immortalare la sinfonia in mi minore. Era stata classificata come la numero 5, ma fatalmente era la nona, a causa di un’errata classificazione. La sua popolarità, a mio avviso, non deve essere svilita dall’attenta analisi critica della sua intera forma. All’ascoltatore, anche quello più attento, sia permesso al suo intimo credo, l’esaltazione che la poesia in musica, concede.

Enrico Martelloni

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“Impiegato per hobby” di Enrico Martelloni – Pubblicità Progresso 5

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