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“Mozart e Pergolesi in coro Per la Camerata Strumentale città di Prato” di Enrico Martelloni

Musica sacra? E sia. D’altronde ci si avvicina a Pasqua. Il programma per giovedì sera 13 marzo nel cartellone della Camerata Strumentale città di Prato, prevede musiche di Mozart e Pergolesi. Due piccoli grandi gioielli che come un amico mi ha confidato, tolto il testo sacro, non resta che la musica, che non ha genere: è sacra per se stessa. Tolto ogni testo la musica non è più protestante, cattolica, massonica, od altro, ma è solo musica. Il testo letterale lo specifica per genere, ma la musica oltrepassa i confini e si estende nel tempo per la sua sensibilità espressiva colta da chiunque porga orecchio. Ne sono esempio, appunto, le Litanie de venerabili altaris Sacramento k 243 in mi bemolle maggiore di Mozart e lo Stabat Mater di Pergolesi. Due capolavori sacri per precoci compositori. L’occasione, ha unito all’orchestra, il notevole coro del Maggio musicale fiorentino, diretto da Lorenzo Fratini, pratese, ormai nell’alveo dei più apprezzati, grazie ad esperienze con l’Orchestra Regionale della Toscana e a quelle extramoenia, come ad esempio, l’orchestra della Radio di Bucarest, quella del teatro Cluj-Napoca. Le voci soliste sono state Valentina Coladonato, soprano, Silvia Regazzo, mezzo soprano e Mark Milhofer, tenore, Luca Tittotto voce di basso, tutte molto apprezzate. Le due opere sacre presentate dalla Camerata Strumentale, sono lontane come origine di quaranta anni. L’opera di Mozart potrebbe essere considerata prodromo del Requiem e una straordinaria quanto incredibile familiarità con l’opera di Pergolesi solo per causa dell’epilogo delle due illustri vite, e perché vi mise mano l’allievo ed amico di Mozart, Eylber su entrambe. La composizione dello Stabat fu prevista per archi e basso continuo, soprano e contralto.

Cristo velato

Esigui mezzi di strumenti, che schiusero un capolavoro tanto celebrato, Pergolesi lo terminò poco prima del 17 marzo 1736, quando morì all’età di 26 anni, nel convento di Pozzuoli a Napoli dove era ricoverato per tisi. Certi capolavori, paiono il commiato, la celebrazione di ciò che più di profondo, sensibile ed immenso, alcuni uomini riescono a donare. Così come l’opera incompiuta del Requiem fu affidata in parte ad Eylber dopo la morte di Mozart, pochi anni dopo allo stesso Stabat Mater furono aggiunte da Eyber le voci maschili e i fiati. Le coincidenze, finiscono qui. Solo con l’intervento d’Otto Nicolai, nel 1834, che ritoccò il lavoro già fatto, si completò quest’opera sacra. Per quello che riguarda l’interpretazione del concerto, di suggestiva morbidezza, è parsa la voce soprano nell’“Agnus Dei” del componimento mozartiano, parimenti in altri momenti, la voce tenorile, intensa e capace d’attrarre attimi profondi. Ammirevole ed esemplare il coro, come l’orchestra guidata dal maestro Fratini. Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, scriveva Iacopo da Todi, il pazzo d’amore mistico. La musica di Giovanni Battista Pergolesi fu Francesco Andrea, come oggi la conosciamo, non ha tradito le attese e colto anche nelle voci del mezzo Soprano e del Basso qualità ed interpretazione.  Intensa l’elevazione musicale, sia quando è stato il tenore e poi di nuovo il coro ad innalzare la preghiera: O quam tristi set afflicta…La perfetta bellezza di questo lascito in musica sacra, in fine, ha trovato più attimi d’accorato sentire, accostando colori tristi a brillanti più vicini ad una deposizione del Signorelli, sì teatrale. Eppure bella, la voce profonda del Basso “Fac me palgis vulnerari. Mai tetra, semmai delicata ed intensa espressione del dolore, lo Stabt Mater ha ricordato “Quando corpus morietur”, il capolavoro del “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino nella cappella di San Severo a Napoli.

Presentata la nuova stagione dei concerti della Camerata Strumentale Pratese: Come una minestra di pane sconfiggerà il pregiudizio alla buona musica

Lunedì 9 settembre è stata presentata in conferenza stampa, la nuova stagione concertistica della Camerata, fiore all’occhiello per Prato che veste abiti eleganti e ricchi di cultura. Dinanzi al teatro, infatti, che ospiterà memorabili musiche, è annunciato per prestissimo l’apertura del museo civico con la mostra dedicata a Donatello e Lippi. Prato come città di cultura da diffondere a piene mani come da una cornucopia ai suoi cittadini, per tutti i ceti, per i giovani, per i ragazzi, che potranno scoprire o riscoprire la grande musica ad un costo realmente accettabile. Questa è una sfida, dunque, come ha annunciato Alberto Batisti, direttore artistico della Camerata Strumentale “Città di Prato”. Gli esempi e i paragoni, le similitudini, non mancano: la cultura e quella musicale in particolare, ha bisogno di tempi più lunghi per essere gustata anche da chi vi pone un pregiudizio, che non permette assaggiare quanto è buona la musica, fresca e viva d’emozioni umane, gioiose, profonde, ma anche frivole o semplicemente romantiche, divertenti, adolescenziali. Mozart, si ricordi, ha scritto molta della sua musica ad età giovanissima. Non sono gli anni che abbiamo, quello che conta, ma lo spirito che dimostriamo e la musica della Camerata Strumentale offre ai pratiesi un’ottima occasione d’ascolto. La riflessione è d’obbligo. Guido Moradei, presidente della medesima, ha affermato, ricordando nella sala del teatro, la soddisfazione di aver visto piazza del Duomo piena di cittadini ad ascoltare il concerto di giovedì scorso, diretto dal maestro Pinzauti, prologo della nuova stagione concertistica. L’impegno verso la città, lo ha affermato, proprio Pinzauti, ha una valenza in termini di ricchezza di musica, proposta al pubblico.

In apertura di conferenza, Moradei ha aperto con un appello per sostenere l’iniziativa, ormai arrivata alla sedicesima edizione. I saluti di rito, non erano poi così formali per le proficue partecipazioni e collaborazione con la scuola comunale di musica Giuseppe Verdi e Promusica di Pistoia che da molti anni ha affiancato l’orchestra pratese. Eppure, ha preso l’aspetto informale questa presentazione della nuova stagione. Gli interventi si sono succeduti con profusa passione in esempi domestici, e ragazzi entusiasti della loro esperienza nei concerti di musica classica, fino a quelli culinari, paragonando la grande musica alla minestra di pane! Sapori dalle infinite sfumature come appunto la musica.

Il programma è ricco, equilibrato. Non eccede e non è particolarmente indirizzato quasi in forma antologica e celebrativa, verso particolari autori o epoche da ricordare; fortunatamente il tredici, porta pochi anniversari. La stagione, però, come ha ricordato Batisti, è impegnata contro il pregiudizio: della musica e della cultura. Gli otto concerti saranno dunque un appuntamento da non perdere. Si spazia da Dvorak a Pergolesi, da Beethoven a Rinmskij Korsakov passando sempre per Mozart sicuro acchiappa pubblico. Ma anche Haydn, Cajkovskij. Insomma, tra spumeggianti e raffinate serate d’ottima musica. Più che in altre occasioni, questa pare adatta a far breccia sul pregiudizio: ad opere conosciute e celebrate, ci saranno alcune da scoprire, come nel secondo appuntamento di novembre con i concerti per violoncello di Carl Philipp Emanuel Bach, secondogenito di J.S.

“Abbellitevi” dunque, come diceva mia nonna, quando portava la minestra di pane a tavola. I sapori dello slow food non tradiscono mai, come le emozioni, i sapori della buona musica. Chapeau.

Enrico Martelloni

“Camerata: elegante e duttile, interpreta Béla Bartok” di Enrico Martelloni

Nagy, parte del nome del maestro ungherese Gabor Takacs, che qualche giorno addietro ha diretto al Politeama pratese la Camerata Strumentale “Città di Prato”, richiama alla mente la tragedia dell’Ungheria invasa dalla Russia nel 1956. L’occupazione di Budapest e la repressione del popolo ungherese per parte dell’esercito sovietico, fu prologo all’infame processo e alla conseguente condanna a morte di Imre Nagy, primo ministro del governo magiaro.

La storia non può essere dimenticata neppure dalla musica, quando per qualsiasi motivo, nomi, eventi, luoghi, richiamano alla mente anche atti d’umana follia. La musica sa riscattare come balsamo i torti che gli uomini fanno a se stessi. Nelle forme più incredibili, dai pianissimo agli strepitosi, agli strepitosissimi, agli Adagio, ai Lieder con l’intenzione di raccontare cose che le parole non possono descrivere, mentre la musica ci coinvolge, incanta, ci unisce.

Ricordare quello che altro non è, se non l’eco di fatti lontani, da valore al maestro ungherese già primo violino del celebre quartetto che porta il suo nome, Takacs, e oggi direttore d’orchestra dell’importante festival di Verbeir, in Svizzera. La sua bacchetta ha portato al nostro teatro le musiche di Bela Bartok, compositore suo connazionale. Il Divertimento per orchestra di archi scritto nel 1939, edita da Boosey & Hawkes, è uno dei lavori più luminosi che Bartok scrisse nel soggiorno svizzero ospite del direttore d’orchestra Sacher. I tre tempi della composizione rilevano un gusto armonico libero ed apparentemente improvvisato, danzante e vitale nel primo movimento colto per un attimo, da un battito d’ali di farfalla in sala. Nel Molto Adagio, la sua natura fedele e sempre, alla musica popolare ungherese, riapre al clima ottimistico nel finale dell’Allegro assai, alla brevissima Polka e al vertiginoso finale. La duttilità dell’orchestra, se ce n’era ancora bisogno di menzionarla, è ripetuta nelle Sette danze popolari rumene , Roman népi tankoc, del 1917; trascrizione per orchestra della Magyarorszgi roman nèpi tancok, elaborazioni pianistiche di materiale etnofonico, concepita due anni prima. Sette danze per sette minuti, eleganti, sottili quadri con riferimento al folclore della Transilvania dove Bartok era nato nel 1881 sotto l’impero austro ungarico. Bartok morirà in esilio a Manhattan, di leucemia, il 26 settembre 1945. Proprio l’impero asburgico unisce Bartok a Mozart in questa serata di musica. La seconda parte, infatti, il maestro Gabor Takacs-Nagy, ospite della Camerata, ha diretto la sinfonia nr. 40, tonalità in sol minore k 550. Figlia di un periodo creativo intenso e particolare della vita di Mozart, questa sinfonia fa il paio con la Jupiter scritta nel medesimo 1788, quando l’astro del compositore non era più al centro del cuore dei viennesi. Flauti, oboi, clarinetti, fagotti in prima fila e gli archi, tutti insomma, al tocco del maestro magiaro, hanno sfoggiato una grande interpretazione, piacevolissima, intensa in ogni sua parte. Di particolare rilievo è parso l’ Allegro assai, quarto e conclusivo movimento della sinfonia. Il pubblico n’è uscito composto, ma entusiasta, quasi fosse una famiglia all’ascolto sulle poltrone di casa propria, invece di essere davanti al proscenio di un teatro. Ha, così, salutato l’orchestra, che ha concesso il consueto bis proponendo il secondo movimento della sinfonia. Di nuovo, convinti applausi, non lunghissimi, ma intensi.